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Mario, l’hockey, la normalità

Mario Di Gesaro è nato a Poggibonsi nel 1980 ma da alcuni anni vive e lavora a Milano come product designer. Protagonista del video che promuove la Giornata Nazionale UILDM 2022, ci ha raccontato cosa significa convivere con l’osteogenesi imperfetta e la sua normalità di giocatore di wheelchair hockey.

 

Mario raccontaci come è nato l’interesse per l’hockey in carrozzina.

Mi sono trasferito a Milano nel 2015. Dopo una laurea in ingegneria a Firenze e aver lavorato in una azienda che gestisce lo smaltimento di rifiuti a Grosseto, mi sono licenziato e mi sono iscritto al Politecnico di design. Un paio di mesi dopo aver concluso il master ho trovato lavoro.

Grazie ad Anna Rossi (presidente di UILDM Milano, n.d.r.) e Mattia Muratore, che già giocavano, ho conosciuto l’hockey in carrozzina e sono entrati negli Sharks di Monza. Per chi ha bisogno di qualcuno per fare anche le piccole cose, questo sport è un grande mezzo di espressione. Sei tu, nel bene e nel male. Ti prendi le tue responsabilità. Per me è diverso, è un momento di sfogo, per alleggerire e buttare fuori il peso di una settimana di lavoro ad esempio. Mi libera la mente.  Sono molto autocritico e mi sono detto: questo passo di andare a Milano avrei dovuto farlo a 25 e non a 35 anni. Ma allora non avevo gli strumenti, ognuno ha i propri tempi.

Quando è arrivata la diagnosi di osteogenesi?

La diagnosi è arrivata a 1 anno e mezzo, non è stato subito chiaro. I miei genitori si sono insospettiti in seguito a una frattura. Allora le informazioni non circolavano come oggi, non era facile nemmeno trovare i medici giusti. Sono stato operato la prima volta nel 1986, ne sono seguite altre sia durante l’infanzia sia in età adulta. I genitori che oggi hanno un figlio con osteogenesi in pochi click hanno accesso a contatti e informazioni.

La malattia ha molte sfumature. C’è chi non sopravvive al parto e chi ha una forma talmente lieve da essere come una osteoporosi lieve. Tutto è cresciuto, dalla possibilità di trovare medici, alle connessioni con associazioni e pazienti. È tutto più facile.

Disabilità e lavoro, come è andato il percorso fin qui?

Ho lavorato per un’azienda a partecipazione pubblica che prevede la presenza di persone con disabilità tra i dipendenti e ora per una realtà privata di grandi dimensioni: posso dire di aver visto in entrambi gli ambienti una certa diffidenza iniziale. In generale per chi ha una disabilità, ma non solo, è più difficile fare carriera.

Cos’è per te normalità?

Credo sia accettare le differenze e lancio una provocazione. Spesso ad accentuare la diversità è proprio chi la vive in prima persona, come chi ha una disabilità. Mi spiego: se mi pongo già io dei limiti, è normale che gli altri li percepiscano. Famiglia e amicizie contano molto. Se a 40 anni vieni trattato ancora come un adolescente c’è qualcosa che non va. Facilitare troppo le cose ti rendo tutto più complicato dopo, quando ti “scontri” con il mondo. Non sei abituato a chi non ti capisce o non ti accetta e questo magari innesca la rabbia.

(cs)

 

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