di Giancarlo Garuti*
Per tracheostomia si intende il posizionamento di una via aerea tramite uno stoma creato chirurgicamente, ovvero di un abboccamento della cute ai margini di apertura della trachea, eseguito per situazioni di lunga permanenza. Si tratta di un procedimento elettivo eseguito in anestesia locale o generale, che si differenzia dalla tracheotomia, consistente in un’apertura chirurgica della trachea, allo scopo di creare una nuova via aerea, bypassando la glottide, per poter introdurre dall’esterno una cannula. Quest’ultima, quindi, è una semplice breccia tra cute e trachea e può essere eseguita d’urgenza, programmata, temporanea, permanente o profilattica. Entrambe le procedure utilizzano un tubo - posto all’apertura della breccia - per convogliare l’aria in trachea e nei polmoni.
Respirazione, fonazione e deglutizione
La cannula tracheostomica, dunque, è un vero e proprio bypass che convoglia l’aria inspirata nel sistema respiratorio, evitando il passaggio attraverso le corde vocali. L’esclusione temporanea della laringe dalla funzione respiratoria ne determina però una sorta di temporaneo disuso, per quanto riguarda le sue tre funzioni essenziali: respirazione, fonazione (emissione di suoni e parole) e controllo della deglutizione. Quest’ultima, ad esempio, richiede la coordinazione tra atti respiratori e deglutitori e la corretta apertura e chiusura delle corde vocali, con movimenti finalizzati a impedire al cibo la penetrazione nelle vie aeree. Non è pertanto difficile comprendere come la ripresa di queste tre funzioni sia spesso problematica in un paziente tracheostomizzato, ventilato, con i potenziali postumi di una prolungata intubazione e alimentato artificialmente col sondino naso-gastrico che - in quanto “corpo estraneo” faringeo - di per sé costituisce un ostacolo alla corretta deglutizione. La cannula tracheostomica riduce pertanto l’abilità di comunicare con efficacia, mentre si sa che la possibilità di parlare rappresenta un elemento fondamentale per la qualità della vita del paziente. Gli stessi familiari e operatori sanitari sono talvolta in difficoltà, in quanto l’impossibilità di esprimersi limita la realizzazione dei bisogni del paziente, situazione che diventa una delle maggiori cause di frustrazione. Nei bimbi piccoli, inoltre, la tracheostomia può compromettere l’uso della parola, in modo tale da limitarne le interazioni sociali, fondamentali per lo sviluppo delle competenze linguistiche. E i caregiver [“assistenti di cura”, N.d.R.] tendono a parlare di meno ai bimbi che non possono comunicare. Un lavoro tra malato ed équipe Per tali motivi, nei pazienti tracheostomizzati sono state ideate alcune soluzioni per permettere la fonazione, sia in casi di respiro spontaneo che di ventilazione meccanica. In questo contesto clinico, l’utilizzo di tecniche che permettono la fonazione assume una duplice valenza, psicologica da una parte, dal momento che la ripresa della capacità di comunicazione da parte del paziente costituisce una svolta nel suo processo riabilitativo: il soggetto, infatti, riesce a comunicare meglio i suoi bisogni e il positivo impatto emozionale del recupero della voce temporaneamente persa si ripercuote positivamente sulla psiche. Funzionale, dall’altra, con l’apparato laringeo che riprende la sua attività dopo una fase di quiescenza. Il lavoro integrato tra malato ed équipe (fisioterapista respiratorio, logopedista, infermiere) può portare inoltre a un’efficace promozione della fonazione in molti pazienti che necessitano della tracheostomia per un lungo periodo, tramite varie soluzioni, per permettere di fonare sia in ventilazione che in respiro spontaneo.
Le soluzioni possibili
Nel paziente ventilato, la fonazione è possibile utilizzando una cannula fenestrata, una scuffiata con valvola fonatoria o una scuffiata (o senza cuffia) senza valvola fonatoria (aggiungendo una piccola quota di pressione positiva di fine espirazione - PEEP - che produce una perdita aerea continua e permette una fonazione udibile durante il ciclo respiratorio). Molto spesso i pazienti neuromuscolari che necessitano di ventilazione presentano cannule senza cuffia, sì da poter parlare mentre ricevono il supporto ventilatorio. Parimenti, nel paziente in respiro spontaneo, la fonazione può essere facilitata attraverso l’occlusione della cannula (tappo, dito o valvola fonatoria), in presenza di cannula fenestrata, scuffiata o senza cuffia. L’utilizzo della cannula fenestrata dev’essere preso in esame con molta cautela: infatti, tale tipo di fessura - la fenestratura, appunto - potrebbe danneggiare la parete posteriore della trachea e provocare un’infiammazione cronica, con conseguente formazione di granulomi. L’occlusione del meato prossimale con un dito è una metodica molto semplice e per molti pazienti si tratta di una tecnica di facile esecuzione, mentre altri non hanno la coordinazione necessaria per attuarla.
La valvola fonatoria
Sempre nel paziente in respiro spontaneo, poi, la valvola fonatoria è probabilmente il metodo di più comune utilizzo: quando il paziente inspira, essa si apre permettendo all’aria di entrare nella cannula e nei polmoni. Al termine dell’inspirazione, poi, la valvola si chiude, e resta tale per tutta l’espirazione senza perdite. Durante questa fase, l’aria viene ridirezionata verso la cannula e verso l’alto - attraverso la laringe e la faringe - permettendo così la vocalizzazione. La valvola fonatoria può essere usata nel paziente vigile, responsivo, che accenna a tentativi di comunicazione. Le condizioni cliniche, inoltre, devono essere stabilizzate e dev’essere mantenuta la cannula scuffiata. Nonostante poi la valvola fonatoria faciliti l’espettorazione orale delle secrezioni, è necessaria - prima del posizionamento - la broncoaspirazione, se il paziente presenta abbondanti secrezioni. E sempre prima del posizionamento bisogna anche valutare i pericoli di inalazione (attenzione alle cosiddette “inalazioni silenti”), in quanto la valvola è controindicata in pazienti con un rischio elevato. E ancora, non devono essere presenti ostruzioni a livello delle vie aeree superiori (tumori, stenosi, tessuti di granulazione, secrezioni) ed è necessario valutare il diametro della cannula, prendendone in considerazione l’eventuale riduzione. Anche la cuffia, infine, può creare un’ostruzione, nonostante sia sgonfia: in questo caso si deve valutare la sostituzione di una cannula con una non cuffiata o eventualmente con una fenestrata.
Raccomandazioni e controindicazioni
Riassumendo, quando si usa tale dispositivo si raccomanda di: controllare che la cuffia della cannula da tracheostomia sia sgonfia prima di applicare la valvola: in caso contrario il paziente non è in grado di respirare; non utilizzare in caso di stenosi tracheale o laringea, in pazienti laringectomizzati o con secrezioni dense e abbondanti, e durante le ore del sonno; rimuovere la valvola, se si vuole somministrare un farmaco da nebulizzare: alcuni farmaci, infatti, possono danneggiarne il diaframma. In generale è necessario testare la tollerabilità dell’occlusione del tracheostoma con un dito e dopo il posizionamento della valvola, osservare la funzionalità respiratoria del paziente (c’è chi necessita di un training di adattamento), monitorando la stessa (fondamentale la saturazione) e quella cardiaca. La valvola va rimossa, se il paziente ha difficoltà respiratorie o appare in distress respiratorio, se scende il livello di saturazione dell’Hb [emoglobina, N.d.R.] o se il paziente stesso lo richiede. Va inoltre pulita, secondo le indicazioni del fornitore, e rimessa in un apposito contenitore con il nome del paziente. Oltre a promuovere la fonazione, la valvola fonatoria può avere altri benefìci. Alcuni studi evidenziano infatti che essa può promuovere la deglutizione e ridurre il rischio di inalazione. Sono riportati poi altri studi che sottolineano la promozione dell’olfatto. Sul versante opposto, le controindicazioni all’uso della valvola fonatoria sono: l’inabilità a tollerare la cannula scuffiata; l’ostruzione delle vie aeree; l’instabilità clinica/respiratoria; la laringectomia; l’ansia severa/disfunzione cognitiva; l’anartria [incapacità di parlare dovuta a una lesione organica del cervello, N.d.R.]; la stenosi tracheale e laringea severa; una malattia polmonare terminale; eccessive secrezioni.
Conclusioni
In conclusione, la possibilità di poter far esprimere suoni a un paziente con tracheostomia è una priorità per tutti gli operatori sanitari che si occupano di questi casi. Spulciamo tra le pagine del libro Cosa sognano i pesci rossi di Marco Venturino (Mondadori, 2006) e vediamo che il paziente con tracheostomia viene paragonato appunto a un pesce rosso, con il quale ha in comune l’incapacità di emettere suoni udibili, per cui muove le labbra cercando di farsi capire, gesto che a volte deve ripetere più e più volte, con grande frustrazione sia da parte sua che dell’operatore. Si tratta di un problema - quello della difficoltà di comunicare da parte dei pazienti tracheostomizzati - in realtà ben noto a tutti coloro che sono addetti alla loro cura e al quale noi operatori dobbiamo cercare di dare una soluzione.
Ospedale S.Maria Bianca Mirandola UOS Pneumologia, AUSL Modena. Vicepresidente della Commissione Medico-Scientifica UILDM.
Testo redatto nel luglio del 2011.
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