di *Luca Bello, Elena Pegoraro
Con il termine di distrofinopatie si definiscono le malattie muscolari dovute a un difetto di distrofina, una proteina di grandi dimensioni contenuta nella membrana della fibra muscolare e legata a molte altre proteine della membrana stessa. La sua funzione sembra consistere principalmente nella stabilizzazione della membrana. L’assenza completa di distrofina determina la distrofia muscolare tipo Duchenne (DMD); una sua alterazione qualitativa o quantitativa provoca varianti più lievi della malattia o con quadri clinici diversi. La variante classica è detta distrofia muscolare tipo Becker (BMD), forma che ricalca – in modo più lieve e con prognosi migliore – l’andamento della DMD. Esistono poi altre forme che presentano manifestazioni minime: come crampi-mialgie da sforzo e problemi cardiaci.
Problemi respiratori e cardiaci
Distrofia di Duchenne (DMD)
La DMD esordisce abitualmente tra i 2 e i 4 anni di età, con difficoltà motorie soprattutto nel salire le scale, correre, saltare. Qualche segno minore può essere individuato anche prima dei 2 anni e in alcuni casi un aspetto clinico particolarmente rilevante – prima della comparsa delle difficoltà motorie – è il ritardo nell’acquisizione del linguaggio. La malattia avanza negli anni, determinando un progressivo e generalizzato difetto di forza, e conseguenti limitazioni funzionali: perdita della capacità di correre, alzarsi da terra, o da una sedia, salire gradini. È tipica l’ipertrofia dei polpacci in contrasto con l’atrofia di altri gruppi muscolari (ad esempio i quadricipiti femorali). Sebbene variazioni indivisuali siano possibili, la storia naturale della DMD determina la perdita della deambulazione autonoma attorno ai 12-14 anni di età. Successivamente il difetto di forza progredisce ulteriormente, con limitazioni funzionali anche agli arti superiori. Ne consegue perdita della capacità di sollevare le braccia sopra le spalle, e in seguito di portare le mani alla bocca. Anche la muscolatura respiratoria e cardiaca sono coinvolte (vedi sotto), in genere solo successivamente alla perdita della deambulazione. Non vengono invece interessati i muscoli oculari estrinseci (quelli che consentono di muovere gli occhi) ed è relativamente poco coinvolta la muscolaturadel volto.
Distrofia di Becker (BMD)
Nella sua forma classica la BMD ricalca l’ andamento della DMD, così come il fenotipo con ipertrofia dei polpacci e atrofia dei muscoli delle cosce. Rispetto alla DMD, tuttavia, l’esordio è variabile ma sempre più tardivo (indicativamente intorno agli 8 anni) e la progressione più lenta e meno severa. La perdita della deambulazione non avviene in genere prima dei 30 anni e riguarda solo un terzo della popolazione BMD classica. Raramente viene coinvolta in modo significativo la muscolatura respiratoria, mentre resta rilevante il problema cardiaco, che laddove presentecostituisce l’elemento determinante per la prognosi.
Altre forme, sempre legate ad alterazioni qualitative o quantitative della distrofina, determinano invece quadri molto diversi, nei quali il coinvolgimento della muscolatura scheletrica è minimo. In questi casi la funzionalità motoria è sostanzialmente conservata, ma spesso l’interessamento cardiaco è più importante. Talvolta, lo scompenso cardiaco è il sintomo d’esordio in soggetti adulti che avevano svolto fino a quel momento una vita del tutto normale, praticando anche attività sportive. In questi pazienti e, più raramente nelle fasi precoci della malattia di DMD/BMD, si può verificare un danno muscolare acuto con mialgie, crampi, spossatezza, elevazione marcatissima della CK (rabdomiolisi) e passaggio di mioglobina nelle urine (mioglobinuria) che prendono una tinta rossastra o nera. Questa condizione rappresenta un’urgenza per il rischio di danno renale.
È importante ricordare che al di là di questi quadri classici (DMD, BMD classica, varianti paucisintomatiche) in singoli casi è possibile osservare forme intermedie di distrofinopatia, in una gamma continua di manifestazioni che va dalla DMD severa alla completa asintomaticità.
Trasmissione
Le distrofinopatie sono malattie genetiche, il cui gene è situato sul cromosoma X. Pertanto, a parte rare eccezioni, soltanto i maschi (che hanno un solo cromosoma X) sono clinicamente affetti, mentre le femmine (che hanno due cromosomi X e quindi la possibilità di “compensare”) abitualmente non hanno sintomi e possono essere portatrici sane della malattia, con la possibilità però di trasmetterla ai figli. Se una femmina portatrice genera un figlio maschio, vi è una possibilità su due che egli sia malato; se genera una femmina vi è una possibilità su due che sia portatrice.
La trasmissione legata all’X del gene della DMD/BMD ha importanti conseguenze sui rischi di ricorrenza nella stessa famiglia. Vi sono anche casi nei quali le madri non sono portatrici e la malattia è dovuta a una “nuova mutazione” . La frequenza di nuove mutazioni è circa del 30%. Questo dato è importante perché rende la distrofinopatia non eradicabile tramite un ipotetico screening di tutte le donne fertili, volto a identificare le portatrici prima che abbiano una gravidanza.
Al momento non è ancora attivo un servizio di screening neonatale per le distrofinopatie, anche se vi è un certo accordo fra gli esperti che questo potrebbe risultare utile per una precoce presa in carico multidisciplinare e la consulenza genetica. Solo raramente le donne portatrici di mutazioni DMD manifestano alcuni sintomi, che nella gran parte dei casi sono lievi: in queste situazioni si usa in genere la definizione di “portatrici manifeste”. Tali donne presentano variabilità nelle caratteristiche cliniche tra cui la più frequente asimmetria del deficit di forza. Il motivo per cui solo alcune donne portatrici manifestano sintomi, e per cui i sintomi possono essere asimmetrici, è da ricercarsi in un fenomeno noto come inattivazione del cromosoma X che comporta lo spegnimento random nelle cellule del corpo dei geni contenuti in uno dei due cromosomi X
Nelle famiglie in cui vi sono dei casi conosciuti di distrofinopatie è attualmente possibile, conoscere con precisione il rischio di ciascun familiare e proporre laddove pertinente la diagnosi prenatale . Non è possibile invece prevedere i casi dovuti a una nuova mutazione.
Trattamenti
Sebbene una cura definitiva per la DMD non sia ancora disponibile, la vita dei pazienti negli ultimi anni è molto migliorata sia in termini di qualità che di durata di vita. Dall’epoca della scoperta della distrofina infatti gli standard di cura sono migliorati modificando la storia naturale di malattia. Inoltre stanno diventando disponibili le prime terapie innovative frutto della ricerca di questi anni. Numerosi studi clinici sono in corso che potranno ulteriormente modificare la storia naturale della malattia.
Trattamenti correntemente prescrivibili
Nella DMD si usano sostanze chiamate glucocorticoidi come il predni sone (o suoi derivati predni solone), o il deflazacort che rallentano l’evoluzione della malattia. L’età mediana alla perdita della deambulazione, con il trattamento steroideo, si sposta dai 9-11 ai 12-14 anni. Questo dato correla con una minor incidenza di scoliosi e gravi deformità della parete toracica, miglior mantenimento della forza e funzione delle braccia, e miglior funzione respiratoria a parità di età. L’effetto sul muscolo cardiaco è più controverso ma nel complesso sembra avere un impatto positivo anche sull’incidenza e progressione della cardiomiopatia.
Attualmente l’impiego dei glucocorticoidi, sotto stretto controllo medico, è fortemente consigliato nella DMD, previo consenso dei genitori e l’esclusione di specifici fattori che ne controindicano l’uso. La sorveglianza medica è resa necessaria per gli effetti indesiderati che i glucocorticoidi possono provocare, quali l’aumento dell’appetito e le alterazioni del metabolismo glucidico (che richiedono particolari attenzioni nell’alimentazione) e l’aumento di fragilità del tessuto osseo (dovuto alla cronica perdita di calcio indotta dal cortisone). L’effetto del cortisone si evidenzia abitualmente entro i primi sei mesi dall’inizio del trattamento e consiste in un miglioramento della funzionalità motoria e di una minore affaticabilità. Purtroppo, il cortisone non è in grado di arrestare la progressione della malattia, che però procede in maniera significativamente più lenta nei pazienti sottoposti a terapia.
Gli ultimi anni hanno visto una fioritura di studi clinici (“clinical trials”) riguardanti diversi trattamenti innovativi: terapie molecolari, cioè terapie che si propongono di promuovere la ri-espressione di distrofina aggirando l’”errore” causato dalla mutazione genetica del paziente; terapie geniche, cioè terapie che si propongono di “consegnare” all’interno delle cellule una copia funzionante del gene; e altre terapie che in maniera simile ai glucocorticoidi vanno a contrastare gli effetti dannosi della mancanza di distrofina tramite molti diversi meccanismi.
A partire dal 2014, è stata approvata in Europa (ed in Italia) la terapia con Ata luren (Trans larna). Questo farmaco appartiene alle terapie molecolari cosiddette “mutazione specifiche”, in quanto può essere utilizzato solo nei bambini e ragazzi che abbiano un particolare tipo di mutazione del gene della distrofina che si chiama “mutazione nonsenso”, e che si osserva circa nel 15% dei pazienti con DMD. Queste mutazioni provocano l’inserimento nella sequenza del gene di un precoce segnale di stop che arresta la corretta produzione della distrofina . Il farmaco “insegna” a superare questo “falso” segnale di stop senza arrestarsi. Gli studi finora condotti hanno dato risultati promettenti, anche se il farmaco non arresta completamente la progressione di malattia. Sulla base di questi studi il farmaco è stato approvato per i pazienti DMD con mutazioni nonsenso di età superiore 5 anni e ancora deambulanti.
Trattamenti sperimentali
Un altro filone di terapia molecolare molto promettente è quello con “exon skipping”, letteralmente “salto dell’esone”. Il meccanismo di questa terapia necessita di una breve spiegazione. Il gene della distrofinaè composto di esoni (porzioni “codificanti”, che contengono le informazioni per fare la proteina) intercalati agli introni (porzioni “non-codificanti” che hanno un ruolo accessorio) . Per produrre la proteina distrofina le informazioni contenute nel gene (che si trova nel nucleo delle cellule) vengono trascritte in un RNA-messaggero nel quale tutti gli esoni vengono “cuciti” insieme, escludendo gli introni, in un processo che si chiama “splicing”. Circa il 60-70% dei casi di DMD e l’80% dei casi di BMD è causato dalla perdita (“delezione”) o dalla duplicazione di uno o più esoni. Nella DMD queste delezioni o duplicazioni rendono “illeggibile” l’RNA-messaggero e causano la completa assenza della proteina. Al contrario, nella BMD le delezioni o duplicazioni provocano un’alterata lettura dell’RNA messagero che causa la produzione di una proteina “diversa”, mancante di alcune parti o con alcune parti in eccesso e quindi ancora attiva ma meno funzionante. La terapia con “exon skipping” mira saltando un esone in più, oltre a quelli mancanti, a far tornare “leggibile” l’RNA messaggero e a consentire la produzione di una proteina “diversa”, meno attiva ma pur sempre preferibile alla completa assenza della proteina. In pratica la terapia si propone di eludere il meccanismo patologico di “splicing” con piccoli “cerotti” molecolari (oligonucleotidi antisenso, AON) e trasformare un “DMD” in un “BMD”, con manifestazioni cliniche più lievi.
Un primo AON per lo skipping dell’esone 51 è stato approvato per la DMD e studi per lo “skipping” di altri esoni e nuovi approcci con AON più moderni sono in corso.
Anche la terapia genica è un campo in attiva evoluzione, in quanto sono attualmente in partenza diversi studio con “microdistrofine”, cioè geni della distrofina “riassunti” e modificati per mantenere il massimo della propria funzione biologica anche riducendone la lunghezza. Vi sono stati buoni risultati sui modelli murini (topo) e canini, e iniziano i primi studi su pazienti umani.
Molteplici terapie innovative infine sono mirate a curare il danno muscolare causato dall’assenza di distrofina, anche senza riportare la distrofina nel muscolo. Fra queste ricordiamo: sostanze che aumentano l’espressione dell’utrofina, una proteina distrofino-simile espressa nel muscolo immaturo; sostanze steroido-simili alternative ai glucocorticoidi con ridotti effetti collaterali; sostanze che inibiscono vie molecolari pro-infiammatorie come l’attivazione di NF-kappaB e delle istone-deacetilasi (HDAC); sostanze che migliorano il metabolismo mitocondriale, alterato nelle distrofinopatie, come l’idebenone; etc .
Al di là poi della terapia farmacologica, esistono diversi presidi non farmacologici che possono sensibilmente migliorare la qualità di vita e gli esiti funzionali sia nella DMD che BMD. Il più importante è la riabilitazione definita sul singolo paziente sulla base di una accurata valutazione. Le valutazioni cliniche devono infatti comprendere, oltre alla valutazione della forza e funzione muscolare, anche un esame accurato del range di escursione articolare, della postura, di eventuali curve scoliotiche, e dei pattern di movimento, per definire un protocollo riabilitativo personalizzato da svolgersi in sedute di fisioterapia a cadenza almeno settimanale se non plurisettimanale, e svolte sotto la guida di terapisti esperti. Gli obiettivi riabilitativi comprendono il mantenimento dell’escursione articolare e la prevenzione di retrazioni (caviglie, ginocchia, anche, etc); la mobilizzazione attiva di gruppi muscolari deboli per ottimizzare i compensi e prevenire atrofia da disuso; l’educazione a pattern di movimento corretti anche mediante uso di ortesi e ausili (tutori notturni caviglia-piede, presidi per la statica, carrozzine etc.) L’adesione a un adeguato protocollo riabilitativo è fondamentale in tutte le fasi di malattia.
In particolare nei primi anni di età evolutiva, quando la forza muscolare è ancora sostanzialmente integra e non vi sono retrazioni articolari, la riabilitazione può essere soprattutto rivolta ad aspetti di psicomotricità, per massimizzare e promuovere lo sviluppo psicomotorio con acquisizione di competenze motorie il più possibile avanzate. Sempre nei primi anni di vita alcuni bambini DMD (ma non tutti) necessitano di un’assistenza logopedica per facilitare lo sviluppo delle capacità linguistiche, che possono rappresentare una criticità nello sviluppo cognitivo e nell’apprendimento scolastico. È da segnalare che spesso questo “gap” linguistico rispetto ai coetanei viene spesso completamente colmato nel corso degli anni. Per gli adulti nelle fasi avanzate di malattia, invece, l’assistenza logopedica si rivolge alle problematiche della disfagia.
Problemi respiratori e cardiaci
Nella DMD si osserva una graduale riduzione della forza dei muscoli inspiratori (principalmente il diaframma) e espiratori. In genere dopo la perdita della deambulazione questo deficit respiratorio può avere conseguenze clinicamente rilevanti. La spirometria è il test più semplice e largamente utilizzato per monitorare la funzione respiratoria. Finché la “capacità vitale forzata”, cioè il volume di aria mobilizzato in una espirazione forzata dopo un inspirazione massimale, si mantiene al di sopra del 60%, in genere non vi sono problematiche respiratorie maggiori. Al di sotto di questo livello comincia il rischio di una ridotta ventilazione durante il sonno. La pulsossimetria notturna (monitoraggio della saturazione dell’ossigeno nel sangue durante il riposo) rappresenta l’esame di screening per individuare queste difficoltà sin dal loro primo presentarsi. Con il progredire della malattia la ventilazione notturna peggiora con accumulo nel sangue di anidride carbonica, e i sintomi tipici di cefalea al risveglio e sonnolenza durante il giorno. In questa fase è indicata la ventilazione notturna non invasiva, che rappresenta probabilmente il singolo presidio terapeutico che più di tutti ha prolungato l’aspettativa di vita nella DMD. Con l’ulteriore progressione del deficit ventilatorio può diventare necessaria una ventilazione non invasiva anche nelle ore diurne, o in casi selezionati e comunque solo se assolutamente necessario, una ventilazione invasiva con tracheostomia. La problematica cardiaca che si osserva nelle distrofinopatie è una cardiomiopatia dilatativa, cioè una sofferenza del muscolo cardiaco che provoca una ridotta contrattilità e una dilatazione principalmente del ventricolo sinistro (la pompa che spinge il sangue in tutte le arterie del corpo). Questa dilatazione inizia ad osservarsi in genere dall’adolescenza in poi, e si può rilevare e misurare tramite l’ecocardiogramma. L’esecuzione annuale dell’ecocardiogramma dopo i 10 anni di età è fondamentale, in quanto i ragazzi con DMD, che fanno poco esercizio a causa del deficit motorio, difficilmente presentano il sintomo principale della cardiomiopatia che è la dispnea da sforzo. Una identificazione precoce permette di ricorrere a terapie specifiche (principalmente: ACE-inibitori e beta-bloccanti) efficaci nel ritardare la progressione della cardiomiopatia. Oltre che per insufficienza della pompa cardiaca, sono possibili aritmie improvvise, per prevenire le quali possono essere indicati defibrillatori cardiaci nei pazienti con cardiomiopatie gravi.
Altri aspetti della DMD
Oltre alle già citate difficoltà linguistiche, che riguardano circa un terzo dei bambini, una minoranza di bambini con DMD può presentare un ritardo cognitivo, anche grave, e/o disturbi pervasivi dello sviluppo che rientrano nello spettro dell’autismo. Altre categorie psicodiagnostiche che possono osservarsi nei bambini e ragazzi con DMD sono il deficit di attenzione con iperattività (ADHD) e il disturbo ossessivo-compulsivo. Queste problematiche possono essere trattate con interventi psicoterapeutici specifici e se necessario con terapie farmacologiche, sotto guida neuropsichiatrica, e con interventi educativi/sociali volti a promuovere l’inclusione e la partecipazione sociale. Dal punto di vista endocrinologico ed auxologico, diverse problematiche vanno affrontate nella crescita. La terapia con glucocorticoidi ed il deficit di forza causano un’osteoporosi che va contrastata con integrazione di vitamina D e calcio, ed eventualmente con altri farmaci specifici, per prevenire fratture delle ossa lunghe (da traumi anche minori) e dei corpi vertebrali (da schiacciamento). Vi è ridotta crescita staturale e, per il poco movimento e l’aumento dell’appetito da glucocorticoidi, la tendenza all’obesità in fase precoce di malattia. Infine, il passaggio all'età adulta rappresenta un momento delicato per vari motivi nella DMD come in tante malattie neuromuscolari: la transizione delle cure dal personale pediatrico a nuovi medici e operatori con i quali il ragazzo e la famiglia hanno meno confidenza può ingenerare ansia e sfiducia, e una attiva collaborazione fra le varie equipe mediche è richiesta per un “passaggio di consegne” su vari aspetti multidisciplinari. Inoltre la tendenza degli adolescenti a trovare nel gruppo dei coetanei il luogo di formazione di una nuova identità, al di fuori della famiglia, è resa difficile dal deficit motorio in progressione a quest’età, con il vissuto di diversità e di esclusione che ne deriva. Anche le questioni dell’indipendenza affettiva, dell’autosufficienza, e dello sviluppo di una sessualità adulta, già critiche per qualsiasi adolescente, possono diventare inaffrontabili per un ragazzo DMD che non sia supportato e guidato, anche da figure extrafamiliari.
*Unità Neuromuscolare, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Padova
Testo aggiornato nel febbraio 2018.
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