Al lavoro sulle giunzioni neuromuscolari - intervista a Eduardo Tizzano*

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Eduardo Tizzano, con Laura Alias e Rebeca Martínez-Hernández Il ricercatore argentino Eduardo Tizzano, con le collaboratrici Laura Alias e Rebeca Martínez-Hernández

Secondo una recente ricerca, l’alterazione presente nell’atrofia muscolare spinale (SMA) non riguarda il motoneurone, ma la giunzione neuromuscolare. Abbiamo approfondito la questione con il coordinatore dello studio.

Com’è ben noto, l’atrofia muscolare spinale (SMA) viene considerata come una malattia del motoneurone nella quale il muscolo è secondariamente atrofizzato per mancanza di innervazione. Recentemente, però, una nuova ipotesi di ricerca - secondo la quale l’alterazione riguarderebbe più precisamente la giunzione neuromuscolare, anziché il motoneurone - è stata per la prima volta confermata sull’uomo da un gruppo di studiosi spagnoli, diretto da Eduardo Tizzano.
Con lo stesso Tizzano abbiamo quindi approfondito la questione, grazie anche alla collaborazione di Cira Solimene.

Che cosa ha dimostrato esattamente questa ricerca?
«Ha dimostrato che nella SMA la giunzione neuromuscolare tra l’assone [conduttore di impulsi, N.d.R.] e i recettori muscolari comincia a mostrare difetti sin dalle prime fasi dello sviluppo fetale, fasi in cui i motoneuroni risultano ancora normali. Questo significa che la formazione del motoneurone e la sua prima essenziale funzione - quella cioè di arrivare al muscolo - non sono originariamente compromessi. È invece proprio l’incapacità della giunzione neuromuscolare a mantenere il contatto tra l’assone e i recettori, nel corso dello sviluppo, che la rende instabile e che successivamente provoca la morte del motoneurone, nel momento in cui quest’ultimo riceve l’informazione dell’assenza di contatto muscolare. Di conseguenza, anche i muscoli crescono di meno, durante le fasi dello sviluppo, proprio per un’immaturità dovuta alla mancanza dello stimolo dal motoneurone al muscolo, attraverso la giunzione difettosa».

Tutte le forme di SMA, dalle più gravi a quelle meno gravi, sono interessate dai risultati di questa ricerca?
«Noi ci siamo basati sulle forme più gravi (tipo 1) e lo stesso studio, esteso a forme meno gravi, ha indicato che la giunzione muscolare, nelle prime fasi di sviluppo, si mantiene ancora normale, confermando che quello che succede in utero, rispetto al difetto di contatto tra assone e recettori, è praticamente riferito solo alle forme più gravi. Quindi, molto probabilmente, nelle forme croniche meno gravi, il difetto comincia a creare danni dopo la nascita e ciò implica che le SMA più gravi avrebbero bisogno di una terapia molto più precoce, sin dall’epoca prenatale. Sebbene questo possa sembrare ovvio, il merito della nostra ricerca dimostra per la prima volta che nella SMA 1 c’è un’alterazione prenatale che non si osserva nella SMA 2 o 3, a parità di epoca di sviluppo fetale».

Come possono cambiare le ricerche sulla malattia dopo questa scoperta e in che modo potrebbe aprirsi un’ulteriore strada per la ricerca di nuove terapie?
«Si dovrà innanzitutto studiare più dettagliatamente quali siano i fattori che provocano la “destabilizzazione” della giunzione neuromuscolare e anche scoprire le ragioni che facilitano la maturazione del muscolo, per limitare al massimo il danno.
In questi ultimi anni, si è sempre più concordi nel ritenere che la SMA sia più che solamente una malattia del motoneurone. Infatti, la ricerca sul topo ha dimostrato che la terapia periferica su giunzioni neuromuscolari, muscoli e altri organi, quella cioè non limitata al sistema nervoso centrale, possa essere efficace. Si sa che nelle SMA più gravi (quelle che si manifestano sin dalla nascita), sono frequenti problemi di malformazione cardiaca, del sistema vascolare, articolare e osseo. Pertanto, la nostra ricerca può aiutare a individuare meglio la “finestra terapeutica”, ovvero il momento ideale per un intervento terapeutico che sia il più precoce possibile, ma anche gli altri settori del corpo da cui cominciare. Tra questi, sicuramente la giunzione neuromuscolare è tra i più importanti».

Quali saranno i prossimi passi del vostro gruppo di ricerca?
«Da una parte, continuare ad approfondire la ricerca sulla giunzione neuromuscolare, per scoprire quali siano le sostanze compromesse nella diminuzione della quantità di proteina SMN, responsabile della malattia. Dall’altra, individuare le prime alterazioni nelle forme meno gravi, come la SMA 2 o 3.
A questo punto stiamo lavorando con cellule pluripotenti (iPSC), quelle per le quali nel 2012 è stato assegnato il Premio Nobel per la Medicina a Shinya Yamanaka. In altre parole, da campioni di cellule prelevate dalla pelle di pazienti con SMA 3, abbiamo differenziato dei motoneuroni, per studiare la loro capacità di formare giunzioni neuromuscolari, confrontandoli con quelli provenienti da pazienti affetti dalle forme più gravi. Questo sistema è molto utile anche per testare farmaci che possano aiutare a migliorare il problema».
(Stefano Borgato)

*Ricercatore in ambito di atrofia muscolare spinale (SMA; nota anche come amiotrofia spinale).

Intervista concessa alla Redazione di DM nel febbraio del 2013.

Per ulteriori dettagli o approfondimenti:

Coordinamento della Commissione Medico-Scientifica UILDM (referente: Crizia Narduzzo), c/o Direzione Nazionale UILDM, tel. 049/8021001, commissionemedica@uildm.it.

Data dell’ultimo aggiornamento: 15 novembre 2014.

Ritratto di admin

Margaret

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