Vita indipendente: La Casa Famiglia di Genova

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Lunedì 4 dicembre si terrà “Una cena solidale per Casa Famiglia”, un’iniziativa di UILDM Genova con lo scopo di raccogliere fondi per continuare a supportare il progetto e le attività.

Casa Famiglia UILDM, inaugurata nel 2001, è una risposta concreta a chi rimane senza sostegno familiare, a chi cerca un'indipendenza ma necessita comunque di assistenza, a chi ha bisogno di ospitalità temporanea. Alla persona con disabilità viene data la possibilità di vivere in autonomia e di ampliare il proprio bagaglio relazionale, scoprendo e sviluppando le proprie risorse. Un progetto innovativo di vita indipendente con e per persone disabili, che non solo sono diventati i residenti della Comunità alloggio, ma hanno contribuito a realizzarla, modellarla e avviarla.

«Il progetto è nato negli anni ‘90 con l’intenzione di rispondere a due problematiche riguardanti la persona con disabilità: da una parte dare l’opportunità alla persona di staccarsi dal nucleo familiare di origine per raggiungere una piena autonomia  personale e sviluppare al massimo le proprie potenzialità; dall’altra parte dare un supporto proprio alle famiglie e rispondere alle difficoltà che spesso si incontrano nella gestione e nell’organizzazione della vita quotidiana - racconta Francesco Ronsval, ex presidente UILDM Genova - Nel corso degli anni sono state organizzate diverse manifestazioni di raccolta fondi per sostenere questo progetto. Un evento speciale è stato sicuramente una partita del Cuore, in cui hanno partecipato comici e cantanti tra cui Ligabue».

Ornella Occhiuto, presidente UILDM Genova, spiega: «Si tratta di una struttura in cui i residenti hanno una disabilità fisica e sono tutte molto attivi, alcune di loro lavorano, altre sono in pensione. La casa è gestita in primo luogo dalle persone che ci abitano e coordinano le loro attività, dai volontari, che dedicano gran parte del loro tempo libero, dai volontari del servizio civile (una decina che si alternano) e degli operatori professionisti che si occupano delle mansioni più pratiche. È una realtà attiva e vivace, in cui si propongono tantissime iniziative. Si organizzano cene, aperitivi, film, cineforum e momenti di convivialità. Ogni residente ha la sua camera, con la sua privacy e poi la sala da pranzo con degli spazi comuni.
Il modello di conduzione diviene un mix tra risorse interne ed esterne: all’associazione sono affidati la gestione ed il coordinamento, i volontari si occupano della cucina, dei servizi generali e dei turni di notte, gli operatori e i professionisti invece lavorano nel servizio di assistenza alla persona. Il volontario rappresenta quindi una risorsa indispensabile che svolge diversi compiti a seconda delle possibilità e delle disponibilità individuali di ogni volontario».

L’ESPERIENZA DI VITA INDIPENDENTE DEI RESIDENTI

«Non è facile per me parlare dell’esperienza di casa famiglia, sono 16 anni che abito qui e i ricordi, le emozioni sono davvero tante. È casa? Sì certo, lo è. Noi, non a caso, ci definiamo residenti; anche se Casa Famiglia Uildm sulle carte ufficiali è definita comunità alloggio, è nata per essere casa, deve essere casa abitazione dimora per le persone che ci abitano e per il tempo in cui ci abitano. Facciamo la lista della spesa, concordiamo con i volontari amici cuochi il pranzo e la cena, prepariamo la lista dei detersivi per la casa insieme all’operatrice, seguiamo la preparazione dei turni dei volontari insieme alle responsabili dei turni, carichiamo il bucato in lavatrice insieme alla giovane volontaria del servizio civile... lo facciamo perché queste cose appartengono a noi, residenti, non ospiti. La parte più significativa e impegnativa del nostro vivere qui è proprio questa, dietro la naturalezza di un brindisi o la spontaneità di una torta di mele preparata al forno c’è questa volontà di vita normale, il riconoscere agli altri e a noi stessi il diritto-dovere di essere liberi, auto-determinati, il più possibile.

Casa Famiglia è stata pensata molto tempo prima dell’inaugurazione: eravamo un gruppo affiatato di persone con disabilità e giovani amici volontari della UILDM, desideravamo proprio risolvere i problemi. L’istituto di lungodegenza, non è una risposta, non lo è mai, per nessuno. Il progetto è nato così, scambiandoci idee, dicendoci quello che doveva esserci e soprattutto quello che non era giusto, che non andava bene o che non c’era. Da lì siamo partiti e tutto è venuto di conseguenza: il gruppo di lavoro ha cominciato ad attivarsi insieme a persone più esperte, con le quali fare il punto-nave e andare avanti e le raccolte fondi, la lunga ricerca dell’abitazione, l’appartamento trovato, completamente da ristrutturare e infine il progetto sulla carta e la sua attuazione. Il progetto richiedeva molte risorse economiche per andare avanti, le nostre rette mensili, l’aiuto della Uildm e le raccolte fondi non erano sufficienti a coprire i costi. Una convenzione è stata stipulata con il Comune di Genova: da parte del Comune un contributo economico e da parte nostra l’adeguamento a norme amministrative abbastanza distanti da quella che voleva essere una semplice casa: HCCP, norme sulla sicurezza, controlli Asl e così via sono parole entrate nel nostro “lessico familiare”. Niente di quello che c’è è scontato perché il nostro progetto, pur avendo fin dall’inizio un obiettivo trasparente, non sempre e non subito è stato capito. Case famiglia è casa, è spazio condiviso e solidale, Non è ancora vita totalmente indipendente perché le scelte non sono personali ma collettive, frutto di mediazione, a volte compromesso. Non è casa mia, è casa dove abito, che risolve le mie richieste di assistenza e mi permette di continuare a fare le mie cose, lavorare, incontrare parenti e amici, quelli fuori casa e quelli dentro casa, in primis gli altri residenti, perché se è vero che non siamo, come a volte ci sentiamo dire, “una grande famiglia” è vero anche che ci rispettiamo, ci vogliamo bene e non ci siamo indifferenti».
(Maurizia)

«I motivi che mi hanno spinto a chiedere di vivere in casa famiglia sono stati essenzialmente due: non dover gravare sui miei genitori per l’assistenza e il desiderio di avere una vita indipendente, al di fuori della famiglia d’origine. Il volontariato ci permette di contenere i costi di gestione della casa;  perché se ci dovessimo avvalere solo di personale professionale le spese diverrebbero insostenibili. La presenza dei volontari è fondamentale però soprattutto perché hanno, come noi residenti e come il gruppo di volontari UILDM che hanno fondato casa famiglia, l’idea che questa debba essere un mezzo per le persone con disabilità per attuare un progetto di vita indipendente, in modo che ognuno di noi si senta di vivere in una casa e non in una struttura istituzionalizzata».
(Valter)

«È stata un’opportunità che mi ha permesso di risolvere problemi riguardanti l'assistenza e l'accessibilità. Grazie al contributo dei residenti, dei volontari e delle persone che ci lavorano si riesce a far funzionare la casa 24 ore al giorno. Il costo della retta mensile è alto ma ragionevole (1200 euro al mese) però non sostenibile se non si hanno altri redditi a parte l'invalidità e accompagnamento. UILDM Genova può venire incontro ai residenti riducendo in parte la retta. Casa Famiglia risponde in parte al desiderio di una vita indipendente, poiché ci sono alcuni aspetti che non sono direttamente gestiti da noi. Il mio obiettivo è quello di andare verso una piena autonomia ma al momento non è sostenibile economicamente».
(Stefano)

«Sono cinque anni che abito in Casa famiglia. Prima vivevo con la  mia famiglia e le mie abitudini erano molto diverse: mia mamma si occupava di tutte le cose, piccole o grandi che fossero. Da quando sono qui la mia vita è completamente cambiata e mi sono dovuta abituare a cavarmela da sola in tutte le situazioni. La mia esperienza, per il momento, è positiva».
(Nadia)
 

ALCUNE TESTIMONIANZE DI VOLONTARI

«Fare volontariato in Casa Famiglia è un’esperienza che ti segna e ti dona la possibilità di “aprire gli occhi” cambiando prospettiva: superare gran parte dei pregiudizi, vincere gli imbarazzi e i timori di trovarsi di fronte a persone apparentemente diverse solo perché in carrozzina. Al tempo stesso è mettersi in gioco accettando il confronto con le persone che vivono in Casa Famiglia, (dal giovane scout che deve fare un anno di servizio fino al pensionato che ha tanto tempo libero), ma accomunate dallo spirito di fare qualcosa di “utile” per gli altri. Il primo impatto non è semplice: ci vuole un po’ di tempo e di sana follia per avere la voglia di andare oltre e ambientarsi ai ritmi della casa, assimilarne i meccanismi e prendere le misure di tutto quello che capita intorno. La cosa bella però è che più si entra dentro questo mondo, più si resta piacevolmente stupiti da quanto tutto sia molto più facile e naturale di quanto si potesse immaginare. Dopo un po’ l’attività ti contagia pienamente e tu, senza neanche sapere come e perché, cominci ad essere un membro di Casa Famiglia… uscire da questa magia che ti ha rapito è praticamente impossibile!». 
(Martina)

«Quando in un pomeriggio d’estate di ormai quasi 25 anni fa abbiamo incominciato a pensare all’idea di Casa Famiglia, ognuno di noi aveva in testa un modello un suo sogno. Ci sono volute tonnellate di mazzetti di mimosa venduti, decine di manifestazioni, eventi, iniziative, per tagliare finalmente quel nastro nel 2001.
Di quello che ognuno di noi aveva in testa allora la realtà delle cose, le normative, la vita stessa hanno permesso di realizzare forse solo parzialmente. Si deve ai pionieri che allora si sono resi disponibili a vivere in prima persona questa avventura, se i sogni possono somigliare un po’ alla realtà.
Chi frequenta la casa come volontario spesso lo fa perché ciò che lo lega ai “ residenti” è in primo luogo un rapporto di amicizia prima ancora della necessità di sentirsi utile. O almeno questo è quello che mi spinge a suonare al campanello. Con chi ci abita condivido affetti, ricordi di momenti, di persone con cui abbiamo fatto pezzi di strada, a volte opinioni, altre discussioni. E come per ogni amico chi entra come volontario in casa famiglia deve avere il rispetto degli spazi, dei tempi, dei momenti. Come normalmente non si entra in casa di un amico con irruenza è bene entrare in casa famiglia in punta di piedi, nel rispetto della privacy dei singoli e dei loro spazi. L’unica soluzione è cercare l’equilibrio, l’armonizzazione di tutte le anime che possono comporre un quadro  che potrebbe diventare un capolavoro».
(Maura)

«Mi sono avvicinata a questo progetto dopo varie esperienze nel mondo del volontariato, nel quale non avevo rapporti diretti con i fruitori dei miei servizi (traducevo in braille o in audiocassette libri scolastici per bambini ipovedenti), cosa che impoveriva un po' il mio impegno. Il mio turno si svolge il pomeriggio, una volta alla settimana per tre ore, che se a volte diventano tre ore e mezza nessuna fretta, non si timbra il cartellino! Per anni sono stata affiancata da un altro volontario con il quale si era instaurata un'ottima collaborazione. Il turno pomeridiano vede come protagonisti, oltre all'assistenza della persona, che è  sempre la priorità, attività di genere casalingo (fare la spesa, rassettare casa, essere il braccio che non sempre arriva a poter fare tutto). In questo scambio si è instaurato un rapporto reciproco e profondo e così, come con gli amici, in questi anni ho fatto e ricevuto confidenze, consolato e sono stata consolata. Non sono mancati i momenti tristi: insieme abbiamo pianto sulla spalla dell'altro e quotidianamente abbiamo presente il ricordo di chi se ne è andato. Vivo questa attività nella consapevolezza del mio ruolo ma lontana dall' immagine retorica del volontario con il cuore aperto senza forzature di ruoli stereotipati». (Paola)

«Da dove comincio? Era una notte buia quando mi trovai al Politeama Genovese: uno spettacolo pro UILDM. Al termine, da dietro le quinte avanza un uomo in carrozzina. Si presenta e ci spiega che c'è bisogno di volontari. Lancia l'invito. Amore a prima vista. Non ci pensai due volte; istintivamente mi dissi “Ci vado”. Ecco com'è andata. Era il lontano 2004 o 2005 o giù di lì. Del gruppo del giovedi sono il più anziano».
(Nino)

«Sono passati già due anni dalla mia esperienza di Servizio Civile in Casa Famiglia UILDM e posso dire che mi ha cambiato la vita. Ho cercato di entrare in punta di piedi, conoscendo i residenti: ci siamo studiati a vicenda cercando di capire i nostri caratteri, le nostre abitudini, i nostri hobby, la nostra vita. Mi resi conto in pochissimo tempo che quel mondo mi faceva stare bene. Abbiamo passato un anno meraviglioso pieno di risate, divertimento, feste, mangiate, uscite, serate passate a parlare, a guardare un film. Una sera io e i mie colleghi iniziammo a girare per la casa in carrozzina, così per gioco. Quella volta rischiai di ribaltarmi e la cosa mi aveva spaventato parecchio. Dopo qualche minuto si avvicinò uno dei residenti e mi disse “Vedi? Alla fine siamo tutti un po’ disabili, io non riuscirò a fare tante cose, ma tu non riesci nemmeno ad andare in carrozzina". Scoppiammo a ridere tutti».
(Veronica)

(v. b.)

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