Uniti contro la distrofia: la storia della famiglia Maccione

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webcard_1080x1080_4Mary e Raffaele Maccione sono i genitori di Luigi, detto Puccio, che nasce nell’agosto del 1968, seguito dai fratelli Fabio e Alessandro.

Fin da piccolo i genitori notano che il figlio non cammina bene: il neurologo a cui si rivolgono raccomanda loro la Sezione di Roma della UILDM. Lo staff medico lo sottopone a diverse analisi e gli viene diagnostica una forma di distrofia. Ma la diagnosi esatta arriva in età adulta: si tratta di distrofia muscolare di Emery-Dreifuss. In famiglia la notizia viene presa con grande semplicità. Sanno che c’è un problema, ma vanno avanti lo stesso. Puccio è il più grande dei tre fratelli, ma è trattato come gli altri, senza preferenze. Anche il rapporto tra fratelli è sereno: sono come tre colleghi, tre amici. Viene considerato sempre come una persona normale e aiutato solamente dove non può farcela da solo. UILDM per la famiglia Maccione ha un ruolo essenziale, tanto che Raffaele, insieme ad altri genitori, si fa promotore di un comitato di pazienti e genitori che ha una certa influenza all’interno della Sezione di Roma nella seconda metà degli anni ‘70. Discutono sia dei problemi interni all’Associazione sia di quelli a livello sociale e fanno proposte al consiglio direttivo. In seguito Raffaele diventa presidente della Sezione di Roma, poi ricopre l’incarico di consigliere nazionale e di vicepresidente nazionale, infine entra a far parte del Collegio nazionale dei Probiviri fino al 2011. Puccio ha molti interessi. Si iscrive all’università, dove si laurea in Storia del Cinema con una tesi su Sergio Leone. Ama il teatro, fa il regista e costituisce una compagnia teatrale. Entra anche nel direttivo della Sezione di Roma, ma preferisce lavorare sul campo con i giovani.

Porta avanti l’idea di un gruppo giovani UILDM che propone alla Direzione Nazionale UILDM e, per lui, questo è il trampolino di lancio per essere nominato delegato di UILDM nazionale all’EAMDA (European Alliance of Neuromuscular Disorders Associations), di cui diviene anche vicepresidente. Proprio nel periodo dell’EAMDA porta dall’Olanda in Italia l’hockey in carrozzina, perché molti amici tedeschi ed olandesi gli suggeriscono che questo sport è ottimo per i ragazzi distrofici. Traduce il regolamento internazionale, organizza le prime partite e fa conoscere il gioco in Italia. Inizialmente, per diffondere questo sport importa persino le palline e le mazze dall’Olanda.

Partecipa ai congressi internazionali a nome di UILDM e, per una decina d’anni, è caporedattore di Finestraperta, il periodico della UILDM di Roma. Ha sempre molte persone intorno a sé, ma vuole fortemente la sua autonomia e la sua indipendenza, viaggia per l’Europa da solo. La madre Mary vive l’Associazione come mamma e come moglie. I coinvolti direttamente sono suo marito Raffaele e suo figlio Puccio. Mary ha un rapporto molto profondo ed intenso con il figlio, lo accompagna in tutti gli spostamenti che fa, parlano di molte cose insieme e condividono la passione per l’arte e il teatro. Negli ultimi anni di vita Puccio lavora su progetti legati alla vita indipendente e si organizza per andare a vivere per conto proprio, con la fidanzata. Ma le sue condizioni cominciano ad aggravarsi e il progetto non si realizza. La sua idea fissa è legata all’esempio dell’Olanda, paese dove i progetti di autonomia e di vita indipendente per le persone con disabilità sono la norma e non qualcosa di eccezionale.

Muore nel 2003. La famiglia è preparata alla sua morte, anche se si tratta di un vuoto molto pesante. La fede, le amicizie in UILDM e a livello personale aiutano e sostengono i famigliari in questo difficile percorso. «Abbiamo preso la notizia con semplicità, - ricorda Mary - e con la stessa semplicità siamo andati avanti, anche perché so che lui avrebbe voluto così. Lui stesso diceva che non era ammalato, che aveva delle difficoltà che andavano superate volta per volta. Sapeva tutto di sé, della sua fine. Aveva assimilato, come noi, ed accettato la progressione della malattia e l’aveva metabolizzata perfettamente».

Nel 2008 viene realizzato un cortometraggio intitolato “Mio figlio”, a cui partecipano Claudio Santamaria, compagno dei corsi di teatro di Puccio, e Alba Rorhwacher: il progetto viene presentato alla mostra del Cinema di Roma. «L’idea è nata - ricorda la madre - mentre stavo scrivendo un libro sulla vita di Puccio, ho chiamato Marco Piazza, allora nell’Ufficio Stampa Telethon e suo amico di vecchia data, per chiedergli una testimonianza per il libro e mi ha proposto un’altra idea, ossia un cortometraggio che raccontasse la sua vita». Nel 2009 esce il libro “Salve, sono Puccio”, scritto dalla madre. Mary lo pensa già da un po’, una sorta di catarsi, un bisogno di raccontarlo. Gli amici la spingono a farlo perché affermano che la vita di Puccio è troppo interessante per passare inosservata. Il libro diviene così il racconto di episodi della vita del figlio, uniti da dialoghi immaginari ma verosimiglianti tra lei e Puccio. «Io non sono malato di distrofia, sono malato solo quando ho il raffreddore, ho la febbre, quando non mi posso muovere da casa ed andare al cinema; io sono tale e quale agli altri, ho delle difficoltà e cercherò di risolverle con l’aiuto di qualcuno. La malattia è solo una circostanza». (a. p.)

Ritratto di piv-J3jXu49

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