Maria E Chiara, Fonti di Reciproca Energia

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Continua la rubrica sui Siblings, i fratelli e sorelle che vivono la realtà della disabilità. Questa è la storia di Maria, 29 anni e di Chiara, 21, due sorelle della provincia di Benevento. Maria ha la SMA e dopo aver conseguito la laurea in Sociologia è attualmente impegnata  nel mondo delle pari opportunità e del welfare, Chiara è iscritta a Lettere moderne.

Com’è stato e com’è attualmente il vostro rapporto?

Maria: «Avere 8 anni di differenza significa aver vissuto una vita da “figlia unica” e vederne cominciare una seconda. Per di più in un momento in cui tu sei in piena fase adolescenziale (quella in cui hai il gruppo di amichette fisse a casa per i compiti prima e i pigiama-party dopo, le uscite, le prime cotte ed il mondo da addentare) e tua sorella ancora una bambina scalmanata, curiosa e bisognosa di attenzioni. Con i miei genitori però, c’è sempre e da sempre stato un rapporto di complicità e collaborazione: i miei ricoveri in ospedale o i viaggi di lavoro di mio padre diventavamo per l’intera famiglia occasione di gite fuori porta, i miei amici erano accolti dai miei e casa Venditti  era la piazza di comunità. Con mia sorella invece no, scalmanata e dispettosa prima e riservata e abitudinaria dopo, è stato più difficile condividere il mio stile di vita. In verità ero intimamente orgogliosa e fiera della vivacità e sfrontatezza che aveva da bambina; mi divertivo ad immaginarla da grande come Harry d’Inghilterra, il più emotivo, ribelle, rivoluzionario della famiglia, mentre io, come William, impeccabile anche negli errori, ero destinata (e condannata) al trono. Chiara invece ci ha stupiti tutti e dopo un’infanzia da “Giamburrasca” è diventata  una vera principessa: ambiziosa, leale, con un forte senso del dovere  e della famiglia. Per nulla incline al vizio o alle sregolatezze, determinata a stringere relazioni solo con persone elette, appassionata di studi classici e desiderosa di una vita di pregio. Insomma: bella, alta, bionda (tinta) e con gli occhi azzurri, gli stessi occhioni limpidi, pronti e veri di quando era bambina. Adesso il nostro rapporto è maturo, nelle diversità caratteriali ci sentiamo complementari l’una all’altra. Viviamo la nostra sorellanza come occasione per far emergere nuove e vecchie consapevolezze,  autenticità e senso di cura reciproco.

Chiara: «Maria è per me come uno scrigno, colmo di gioielli e pietre preziose, da saper custodire, da dover tenere stretto, al sicuro, e mostrare solo ai veri intenditori! Mi spiego meglio: io sono la secondogenita della famiglia e ho 8 anni in meno di lei ma, nonostante questo, mi sento in dovere di proteggerla anche se non ho mai capito in realtà perché visto che lei è molto autonoma ed ha una tenacia incredibile. Quindi, anche se all'apparenza vista la sua condizione, sembrerebbe lei a necessitare di noi, in realtà è Maria il vero ossigeno di casa Venditti! Paradossalmente sono la prima che mi rivolgo a lei quando ho qualche problema. Ho sempre pensato che senza di lei e la sua esperienza vissuta indirettamente, non sarei cresciuta in questo modo: così in fretta, autonoma e ambiziosa. Ho imparato da lei che se si sa chiedere quello che si vuole, anche nelle situazioni peggiori, la vita è pronta a donarcelo. La mia speranza è quella di saperle stare accanto in un futuro, di essere la sua spalla forte, di godermi sempre la sua vitalità e la sua energia. Dopotutto non è niente male starle accanto: il posto in prima fila è garantito, il parcheggio più comodo è riservato a lei, si saltano le file, si ci rende conto di cose a cui non avevamo mai fatto caso... ma soprattutto mia sorella è contagiosa! Ci contagia la forza che ha, l'energia che la fa esplodere, l'eleganza che solo un'anima serena e felice possiede».

Qual è stata la reazione alla disabilità nella vostra famiglia?

Maria: «In piena teorizzazione da sindrome di Stoccolma (quella condizione psicologica in cui si instaura una sorta di alleanza e solidarietà tra vittima e carnefice) alla mia disabilità, identificata come il mio nemico, ho reagito alleandomici. Ho cominciato a smettere di camminare da molto piccola e gradualmente nel corso degli anni ho perso alcune altre funzionalità; la lenta progressività della mia patologia mi ha permesso di non sentire uno stacco netto tra una stagione di vita e l’altra ma anche di tararmi con naturalezza alle nuove situazioni. Durante l’infanzia ho vissuto dimenticando il mio handicap motorio: vivere in un piccolo paese di provincia del sud Italia è dopotutto talmente “disabilitante” ed alienante che la mia disabilità non emergeva di per sè, se non al pari dei disagi di tutti gli altri. Lo scalone per accedere in chiesa la domenica, la salita al 60% per arrivare a casa, il parcheggio distante, i mezzi pubblici inesistenti, eccetera erano difficoltà che vivevo io, così come la mia bisnonna o la mia coetanea e tutti eravamo insieme e soli nell’arte di arrangiarci. Nei contesti formali e istituzionali inoltre non si viveva ancora di rigidità e perentorietà delle norme e questo portava, paradossalmente, a slanci di solidarietà e buon senso inauditi. Tanto per fare un esempio emblematico: non ho mai avuto durante l’intero percorso scolastico la figura dell’operatrice, perché mi ha sempre aiutato la mia compagna di banco. Sono stata per giunta la prima ad avere un telefono cellulare in assoluto e  avevo il permesso di tenerlo in classe cosi da poter contattare mia madre per eventuali necessità. Solo con il tempo, crescendo e sperimentandomi da sola in vari contesti, ho assunto vera coscienza della mia situazione: ho sentito più spesso la fatica,  ingiustificata, di chi deve pianificare tutto nei dettagli perché nulla intorno sembra tener conto delle tue esigenze. Ho capito quanto era stato straordinario quanto fatto fino ad allora, tutti i traguardi raggiunti insieme alla mia famiglia. Io e la mia famiglia non ci siamo sentiti alle prese con la mia "disabilità" ma con le necessità, con i cambiamenti, con le sfide che la mia condizione in vari modi e forme, ci proponeva o imponeva... siamo stati impegnati a vivere piuttosto che a preoccuparci o demotivarci!».    

Chiara: «Quando sono nata mia sorella aveva 8 anni, la sua malattia si era già presentata, non camminava e la sua situazione era in evoluzione. La mia famiglia seguiva l'iter più comune: depositare in più ospedali le sue cartelle cliniche per attivarci e sperare in una prospettiva di guarigione. Ricordo spesso i viaggi verso Roma, avrò avuto circa 4 anni, ed in auto ascoltavamo la Pausini e Tiziano Ferro... risentirli infatti mi provoca una forte emozione! Arrivati in ospedale mia madre e mia sorella formalizzavano il ricovero, mentre io e mio padre alloggiavamo in una residenza di frati. Adesso che ci ripenso sembrava di essere in vacanza, la mia famiglia ha sempre fatto squadra e abbiamo certamente un dono innato: trasformare e rendere piacevole persino le disavventure. Il mio compito in quei momenti era assistere il mio babbo, sembrerà paradossale, lo so! avevo appena 4 anni ma, tra lo stupore di tutti, ci riuscivo: al mattino mi occupavo di piegargli il pigiama, riporlo nell'armadio e proporgli il cambio che mamma si era premurata di sistemare in valigia. Arrivare in ospedale e rivedere mamma e Maria era una vera gioia: mia sorella era solita ascoltare musica e da buona partenopea stringeva amicizia e conoscenza con tutti. Ricordo che segnava i numeri telefonici su una rubrica cartacea, le pagine erano fittissime di contatti! La situazione di Maria, oggi ne sono più convinta di allora, è stata un segno indelebile per noi. È stato l'evento che ci ha collocati nella nostra dimensione e ci ha disposti e forgiati per condividerlo e sfidarlo. Questo racconto ne è la testimonianza».

(v.b.)

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