Distrofie miotoniche

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di Valeria A Sansone*

Le distrofie miotoniche sono malattie genetiche, autosomiche dominanti, caratterizzate da debolezza muscolare, cataratta precoce (prima dei 50 anni), miotonia ed interessamento multisistemico. Oltre al muscolo scheletrico sono compromessi anche il cuore (difetti di conduzione, aritmie, cardiomiopatia dilatativa), apparato respiratorio (apnee notturne, eccessiva sonnolenza diurna, tosse inefficace, insufficienza respiratoria cronica), il corpo vitreo dell’occhio (cataratta), le ghiandole sessuali (atrofia delle gonadi, sterilità), il sistema endocrino (ipotiroidismo, diabete), il muscolo liscio(disturbi gastrici, stitichezza) ed il sistema nervoso centrale (ritardo intellettivo, alterazioni comportamentali).
Ne sono state caratterizzate due forme: la prima, relativamente frequente, con un’incidenza di 1 caso su 10.000 nati vivi, è la DM1 o distrofia di Steinert ed è causata dal difetto del gene della miotonina proteina kinasi (DMPK), sito sul cromosoma 19q13.3.
La seconda, più rara, è la DM2, secondaria al difetto del gene CNBP (ZNF9), sito sul cromosoma 3q21.

Entrambe le forme sono caratterizzate da un’eccessiva ripetizione di una sequenza di nucleotidi (tripletta o quadripletta), che nei soggetti normali si ripete per un limitato numero di volte. In chi manifesta la malattia, queste sequenze di basi (CTG per la DM1 e CCTG per la DM2), possono ripetersi da alcune decine fino a migliaia di volte, compromettendo la funzione del gene. Il gene DMPK, contiene una sequenza CTG che, nelle persone non affette è ripetuta tra le 37-50 volte, mentre nelle persone affette con DM1 può raggiungere le migliaia, anche se solitamente è compreso tra le 400-600 ripetizioni. Il gene CNBP, sul cromosoma 3q contiene la sequenza CCTG che è solitamente ripetuta 26-30 volte nelle persone non affette. Nelle persone con DM2, l’espansione può variare da 75 ripetizioni a 11.000.
In genere tanto maggiore è l’espansione di nucleotidi, tanto più grave è l’espressione clinica della malattia, ma la correlazione tra genotipo (numero di triplette espanse) e fenotipo (quadro clinico) è estremamente variabile. Il grado di espansione viene determinato nel sangue ma il grado di espansione a tale livello può non corrispondere al grado di espansione di un altro tessuto nello stesso individuo e questo può almeno in parte spiegare le diverse manifestazioni della patologia. Le espansioni sono così instabili che nel passaggio da una generazione all’altra si verifica il fenomeno dell’anticipazione. Genitori affetti trasmettono infatti ai figli gradi di espansioni maggiori con conseguente anticipazione dei sintomi, solitamente con un quadro clinico più grave.
I gradi di espansione minimi (tra 37-50 CTG per la DM1 e tra le 26/30-75 CCTG per la DM2) costituiscono forme cosiddette premutate, ancora non definite del tutto dal punto di vista clinico e prognostico, pur solitamente ritenute asintomatiche.

Classificazione
La Distrofia Miotonica di tipo 1 è molto variabile nell’età di presentazione, comprendendo una forma congenita, una forma infantile-giovanile, una forma adulta ed una forma ad esordio tardivo. La forma congenita esordisce entro i primi 30 giorni di vita ed ha richiesto almeno 72 ore di osservazione/ospedalizzazione. I sintomi considerati diagnostici entro i primi 30 giorni sono vari (insufficienza respiratoria, difficoltà di suzione e quindi di nutrizione ed accrescimento, malformazioni ed in particolare ai piedi, ipotonia ai 4 arti) ma in particolare è sufficiente che ve ne sia uno nel periodo temporale dei 30 giorni descritto per porre la diagnosi clinica, e ricercare l’espansione CTG nel gene DMPK. Esordi successivi al mese di vita vengono classificati come infantili entro i 14 anni e giovanili-adulte se l’esordio è successivo. Esordi oltre i 60-65 anni vengono considerati tardivi.

La Distrofia Miotonica di tipo 2 comprende una forma simile alla DM1 sia per compromissione e distribuzione della debolezza, sia per la presenza di cataratta, e miotonia; una forma classica, definita miopatia miotonica prossimale (PROMM) in cui l’interessamento è predominante a livello cingolare, soprattutto pelvico, vi è poca ipotrofia, miotonia fluttuante e cataratte; e la forma definita distrofia miotonica prossima (PDM) in cui l’interessamento è cingolare, con grave ipotrofia, cataratta anche non presente, e miotonia clinica assente e difficile da riscontrare anche negli studi EMG. Vi sono poi presentazioni atipiche con quadri di Parkinsonismo associati o con manifestazioni centrali di tipo cognitivo-comportamentali paragonabili ad un quadro di demenza. A differenza della DM1, non è descritta una forma congenita di DM2. Per tale motivo, il fenomeno dell’anticipazione, evidente nella DM1, è accennato e considerabile nella DM2 ma con caratteristiche di presentazione variabili.

Il fenomeno miotonico
Con il termine di miotonia o fenomeno miotonico clinico si definisce una contrazione muscolare che persiste anche dopo la cessazione dello stimolo volontario. In altre parole, i muscoli – oltre ad essere più deboli – si rilasciano con difficoltà dopo la contrazione e il paziente fatica a lasciare la presa dopo avere stretto con forza un oggetto.
Tale difficoltà è più evidente “a freddo” e si riduce col ripetersi delle contrazioni. In sostanza è come se il muscolo “non capisse” che il segnale nervoso di attivazione è terminato e che è ora di rilasciarsi.
Il difetto è causato dall’alterazione della permeabilità della membrana allo ione cloro, correlata alla mutazione genetica. Il fenomeno miotonico elettrico è evidenziato dall’esame elettromiografico: all’infissione dell’agoelettrodo nel muscolo, compare una scarica di potenziali d’azione involontari causati dall’ipereccitabilità della membrana.

Nella DM1, il fenomeno miotonico è tipicamente presente a livello delle mani, della muscolatura mandibolare e linguale. Mai a livello orbicolare o palpebrale. Nella DM2 la miotonia è più variabile, e più sensibile ai cambi di clima, ormonali o tensivi. Presente tipicamente a livello delle mani, può riscontrarsi anche negli arti inferiori dove i pazienti lamentano spesso anche mialgie, non necessariamente legate alla miotonia. In alcuni pazienti può essere presente anche a livello palpebrale con un fenomeno noto come lid-lag (fenomeno per cui la palpebra superiore è più alta del normale quando l’occhio guarda in basso)

La debolezza muscolare
Nella DM1 il coinvolgimento della muscolatura esordisce tipicamente nei distretti distali (avambraccio, mano, gamba e piede) e nei muscoli mimici del volto, con riduzione dei movimenti dell’espressione del viso e abbassamento delle palpebre (ptosi). È comunque interessata tutta la muscolatura scheletrica, con debolezza generalizzata e facile faticabilità. Comune è la debolezza dei muscoli estensori del collo, con l’atteggiamento della “testa cadente”.
Nella DM2, invece, l’interessamento muscolare esordisce tipicamente nei distretti prossimali degli arti (spalle, braccia, bacino e coscia). Nella PROMM può essere presente un’ipertrofia relativa dei muscoli della gamba (polpaccio) o un’ipotrofia asimmetrica, non particolarmente progressiva nel tempo. Sono stati descritti casi con minima espressione clinica, anche con solo aumento della CK sierica (iperCKemia asintomatica). Nelle forme PDM l’ipotrofia è marcata e la disabilità grave.

Sintomi e decorso
Nella DM1 l’esordio della malattia è variabile e può coinvolgere diversi sistemi. Nei casi neonatali il bambino ha gravi problemi motori e respiratori, ha difficoltà ad alimentarsi e spesso necessita dell’aiuto di un respiratore. Se supera i primi mesi critici, lo sviluppo cognitivo e motorio è significativamente compromesso.
Nei casi infantili vi è un ritardo dell’acquisizione delle capacità motorie (in genere con inizio della deambulazione oltre i due anni) e psichiche (ritardo della parola, alterazioni comportamentali, tratti autistici).
Nei casi adulti, con esordio tipico nella 2° e 3° decade, infine, il primo segno è in genere la miotonia, evidente soprattutto alle mani: dopo avere afferrato un oggetto, la persona non riesce a lasciare immediatamente la presa. Inoltre possono essere presenti difficoltà a correre, con cadute improvvise e facile stancabilità. In rari casi l’esordio è caratterizzato da disturbi cardiaci e respiratori.

Le forme tardive solitamente arrivano all’attenzione del medico per sintomi sistemici che conducono alla diagnosi, spesso per esclusione e possono presentare minimo o assente fenomeno miotonico, e la cataratta può non essere presente.
Nella DM2, invece, prevale la debolezza dei muscoli prossimali, con interessamento soprattutto a carico del cingolo pelvico tanto che i pazienti iniziano tipicamente verso la 3° e 4° decade a lamentare difficoltà nell’alzarsi dalla posizione accovacciata in terra, nel fare le scale e si affaticano rapidamente. Il fenomeno miotonico può essere solo elettrico. A Per quanto poi riguarda il decorso della malattia, nella DM1 congenita il neonato – spesso prematuro – è gravemente ipotonico, con importanti difficoltà di suzione e deglutizione, problemi respiratori e talora anche deformità scheletriche (piede equino e varo). La grave compromissione delle condizioni generali è spesso fatale, in particolare quando è presente insufficienza respiratoria. Se si supera questa fase, si assiste in genere tra i 5-6 anni e i 14 anni ad un progressivo miglioramento delle funzioni motorie, soprattutto evidenti nella capacità di deambulare, salire e scendere le scale, nella destrezza digitale, e generalmente l’ipotonia muscolare diminuisce nel tempo. I bambini acquisiscono, seppure in ritardo, le tappe motorie, mentre rimane grave il deficit intellettivo. Non sembra correlarsi all’età il deficit ipostenico presente a carico della muscolatura orbicolare della bocca, della muscolatura mandibolare e masticatoria che rimangono stazionari in questa fascia. Anche la miotonia, non è tipicamente presente nei primi anni e compare gradatamente dopo i 6 anni. Verso i 20-30 anni le forme congenite virano verso le caratteristiche delle forme giovani adulte. Quasi sempre la forma congenita è trasmessa dalla madre.
Nella forma infantile-adolescenziale predominano i sintomi di tipo comportamentale e cognitivo su quelli motori e miotonici. È spesso necessario un intervento scolastico di supporto sia per gli aspetti di apprendimento che per l’inserimento e la socializzazione.

Nelle forme adulte gli aspetti salienti sono il coinvolgimento multisistemico, il lento progredire del coinvolgimento muscolare scheletrico e la variabile compromissione delle capacità cognitive. Tra gli aspetti sistemici da sottolineare che le cause di morte più frequenti sono cardiache e respiratorie. Per quanto riguarda la compromissione cardiaca vi è un aumentato rischio di gravi aritmie ed anche il rischio di morte improvvisa è più elevato, purtroppo anche in soggetti portatori di pacemaker. Per quanto riguarda l’interessamento respiratorio questo avviene per complicanze di polmoniti, principalmente per ab ingestis (molti pazienti sono disfagici senza saperlo) o per difficoltà di gestione delle secrezioni bronchiali. i. Uno dei sintomi ritenuti a maggiore impatto per questi pazienti è l’eccessiva sonnolenza diurna, frutto di un insieme di problematiche che variano dalla degenerazione dei centri del respiro a livello bulbare alla debolezza della muscolatura respiratoria che non consente un corretto scambio di gas durante la notte (determinando elevati valori di anidride carbonica e bassi valori di ossigeno),.
Infine tra i sintomi a maggiore impatto per le persone affette vanno considerati i sintomi di appartenenza dell’apparato gastroenterico sia come disturbi digestivi (senso di pienezza, difficoltà di digestione, epigastralgie) che come motilità intestinale (stipsi, alvo alterno, diarrea ricorrente).
Il decesso è spesso collegato a cause cardiache o respiratorie ma il miglioramento dell’assistenza anche domiciliare ha prolungato l’aspettativa di vita.

Diagnosi
Per una corretta diagnosi di distrofia miotonica sono importanti un’accurata valutazione clinica neurologica, con la raccolta dei dati della storia familiare e l’esame obiettivo; quindi si procede all’esame elettromiografico e all’indagine genetica sul DNA estratto dai linfociti del sangue. È importante la raccolta di una completa storia familiare: circa il 4% delle donne affette scopre di avere la DM1 una volta messo al mondo un figlio con forma congenita grave.

Trattamenti
Ad oggi non esiste una terapia risolutiva per la malattia, anche se sono in fase di studio avanzato varie strategie molto promettenti. È importate il monitoraggio periodico in centri di riferimento per la componente muscolare, cardiologica, respiratoria, oculistica ed endocrinologica e per prevenire le complicanze. È anche importante intervenire precocemente, laddove indicato, con terapie preventive econservative cardiologicheendocrinologicherespiratorieortopedichefisiatrichefoniatrihe e dietologiche, al fine di migliorare le prestazioni e la qualità della vita.
Il fenomeno miotonico, quando significativamente invalidante, può migliorare in alcuni soggetti con l’uso di farmaci come la mexiletina..
A livello cardiologico, si utilizzano farmaci antiaritmici, inotropi, antipertensivi e diuretici; è molto importante valutare in ogni singolo caso il rischio di comparsa di bradicardia o di aritmie ventricolari, che vanno trattate con l’impianto di pace-maker o di defibrillatori intracardiaci.

A livello respiratorio si possono utilizzare ventilatori notturni per ridurre i livelli di anidride carbonica nel sangue ed aumentare quelli di ossigeno garantendo una migliore ossigenazione a tutti i tessuti. Si possono utilizzare esercizi per migliorare i volumi polmonari e dare maggiore capacità ai polmoni di riempirsi e svuotarsi con gli atti del respiro. Si possono utilizzare assistenti alla tosse quando la muscolatura espiratoria è debole e non consente una corretta gestione (eliminazione) delle secrezioni favorendo il ristagno di queste nelle vie aeree, pabulum ideale per sovrainfezioni batteriche e conseguenti bronchiti o polmoniti.

Per l’ipersonnia diurna, è possibile trattare la componente legata ai disturbi del respiro durante il sonno, con l’uso di ventilatori notturni e la componente centrale con farmaci psicostimolanti quali il modafinil. E’ in corso uno studio multicentrico randomizzato per confermarne la sicurezza ed eventuale efficacia del farmaco nella DM1.
Per la disfagia ed il rischio di ab ingestis, si possono adottare strategie posturali durante l’alimentazione, porre attenzione al tipo di dieta, ed in alcuni casi utilizzare acquagel a fine pasto per lavare da eventuali frustoli di cibo rimasti, o addensanti per i liquidi.
La cataratta può essere rimossa con un semplice intervento chirurgico.
L’esercizio fisico di tipo aerobico abbinato ad esercizi individualizzati di potenziamento, sottomassimali sono indicati con lo scopo di ricondizionamento cardiorespiratorio. Il supporto psicologico soprattutto di natura cognitivo-comportamentale può essere di aiuto per queste persone e talora può essere di beneficio una terapia con farmaci come amitriptilina e sulpiride per la loro azione sull’umore.

*Direttore Clinico Centro Clinico NEMO, Milano
UO Neuroriabilitazione
Università degli Studi di Milano

Testo aggiornato nell'agosto 2018. 

Per ulteriori dettagli o approfondimenti:
Coordinamento Commissione Medico-Scientifica UILDM, c/o Direzione Nazionale UILDM, tel. 049/8021001, commissionemedica@uildm.it.

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